È questa la frase che ha echeggiato come un mantra in questi giorni, tra trattative per il rinnovo del contratto, referendum e incontri tra lavoratori e sindacati. Un’espressione amara, che sembra voler giustificare l’accettazione del minimo indispensabile, come se accontentarsi fosse ormai l’unica via percorribile.

Ma dietro questa apparente rassegnazione si cela qualcosa di ben più profondo e preoccupante: l’abbandono della lotta per i nostri diritti, il silenzioso arretramento di fronte a chi da anni riduce la dignità del nostro lavoro a una mera questione di numeri.

Accettare l’essenziale “perché tanto non si può ottenere di più” è il vero pericolo. Significa chinare il capo, firmare con amarezza la rinuncia ai nostri diritti, e convincerci che va bene così. Significa, in fondo, chiamare “accordo” quella che somiglia sempre più a un’elemosina.

Oggi non c’è nulla da festeggiare.
Il sì al referendum non rappresenta una conquista, ma piuttosto un sintomo: quello di un corpo sociale che ha smesso di credere nel cambiamento, che preferisce un piccolo sì al rischio di alzare la voce e pretendere ciò che ci spetta. È una resa silenziosa, un funerale mascherato da accordo.

Non è solo un contratto a essere stato svenduto, ma una visione del lavoro dignitosa, giusta, costruita con anni di impegno e sacrifici.
E allora no, oggi non brindiamo.
Oggi ci fermiamo, riflettiamo e, soprattutto, ricordiamo a noi stessi che meritavamo di più. E che non può finire così.

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